Dio
Quando tutte le domande a cui possiamo dare una risposta hanno trovato soddisfazione, quelle più importanti, le uniche a cui vorremo dare una risposta, ne resteranno inevitabilmente prive. Con questa frase un importante filosofo del 900 ha forse descritto quella che, ogni giorno, possiamo descrivere l’esigenza di un Dio: il bisogno dell’essere umano, ineliminabile, per questo naturale, di riuscire a dare un senso alla propria esistenza.
Prendiamo, ogni giorno, ogni momento, decisioni di ogni tipo, dalla più banale (dove passare la serata) alla più, apparentemente, importante: a quale scuola andare dopo le Medie o dopo le Superiori o se, piuttosto, andare a lavorare. Siamo certo convinti, nel fare questo, che quando scegliamo non siamo spinti, meccanicamente, solo da ciò che ci è successo prima e non calcoliamo dunque la nostra decisione solo come il frutto di una conseguenza. Certo l’esperienza precedente ci influenza, ma non pensiamo sia soltanto quella la causa. Quando decidiamo infatti lo facciamo anche in virtù di un bene futuro (o di quello che crediamo tale). Sul futuro, è ovvio, non c’è nessuna certezza, nessuna determinazione, e dobbiamo in qualche modo figurarcelo per dare un senso alla nostra decisione presente. Dobbiamo dunque: agire “come se” avessimo un obiettivo da raggiungere.
Come obiettivo non può essere pensato solo quello immediato che crediamo nel presente in cui lo pensiamo, ad esempio: vado a scuola per avere un titolo di studio. Se avere il titolo di studio è il mio obiettivo immediato, quello, a sua volta, può essere il punto di partenza per nuovi interrogativi, nuove decisioni e quindi nuovi obiettivi. Potremmo sempre chiederci perché vogliamo raggiungere “quel particolare” obiettivo. La risposta potrebbe essere: “voglio il titolo per avere un lavoro migliore”, e poi “un lavoro migliore per guadagnare di più, quindi avere meno problemi, comprarmi quello che voglio etc etc”, senza fine… Quale allora il fine ultimo? E’ qui che arriva il “vuoto”! Non c’è un fine ultimo, o almeno non possiamo pensarlo (ogni fine ne chiama sempre un altro) e allora possiamo cadere nell’affermazione, che almeno tutti abbiamo pensato una volta nella vita: “la vita non ha senso!” (non ha direzione, non ha fine, non ha un obiettivo ultimo da raggiungere). Ma se viene meno il senso ultimo allora viene meno anche la nostra capacità di prendere decisioni, perché se viene meno il fine ultimo come posso decidere se andare a scuola è meglio che lavorare o viceversa? Che andare in un locale piuttosto che un altro mi renderò più o meno felice? Allora ecco che il pensare l’esistenza di un fine ultimo diventa necessario, per la nostra capacità di prendere decisioni ogni giorno. Questo fine ultimo, quando non sappiamo chiamarlo, lo chiamiamo Dio.
Collegata a questa capacità “pratica” (legata cioè alla volontà) Dio rappresenta anche una “sicurezza” per tutto ciò che l’uomo ritiene per sé impossibile ma, nonostante questo, necessario per la sua sopravvivenza: conoscere se stesso, il senso della propria vita e il fine ultimo della propria esistenza: conoscere, in una parola, la propria “natura”.
La comprensione della Natura sembra un lavoro da scienziati ma è tutt’altro che un lavoro risolvibile scientificamente. E’ piuttosto un problema che ci porta, nostro malgrado, al di là delle nostre capacità. Cosa ci rende così ottimisti delle nostre capacità intellettuali? Cosa ci fa credere che tutto ciò che vediamo, sentiamo, odoriamo sia realtà e non illusione o solo un brutto sogno?
Ecco anche qui a cosa serve credere in un Dio, in un principio, in una Legge: credere in un punto di riferimento, pensabile, che da solo ci garantisca che il mondo sia conoscibile (perche la nostra ragione è la stessa di colui che lo ha creato) e che esso, soprattutto, abbia un “senso”.
Ma pensare Dio non equivale certo a dimostrarne l’esistenza. Il punto è che anche se di Dio non possiamo aver nessuna prova della sua esistenza (e alla Filosofia nemmeno dovrebbe interessare dimostrarlo), è difficile mettere in dubbio il nostro continuo farne riferimento: agiamo o conosciamo “come se” questo principio esistesse. E se non esiste fuori di noi, esiste indubbiamente dentro di noi, come guida personale (seppure “immaginaria”): in un certo senso non possiamo fare a meno di illuderci di avere a nostro sostegno qualcosa che ci garantisca che ciò che siamo (conosciamo e agiamo) non sia vacuo e inutile (insensato).
Ciò che ci fa più paura è ciò che non conosciamo, e ciò che non conosciamo per definizione è l’irrazionale. Ecco dunque un principio razionale che ci illumina la strada e che se il principio stesso (la luce) non la vediamo, vediamo almeno la strada. Poco importa se quella strada ce la stiamo anche solo sognando.
Hanno detto
Da Leggere
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Douglas Adams, Guida galattica per gli autostoppisti, Arnoldo Mondadori editori,1996. |
Bertrand Russell, Scienza e religione, TEA, 1994 | |
Da Vedere
Fight Club, di David Fincher, USA, 1999
Il settimo sigillo, di Ingmar Bergman, Svezia, 1957
Decalogo 1, di Krzysztof Kiewlowsky, Italia-Polonia, 1988
Da Ascoltare
Giorgio Gaber, Io se fossi Dio, da Io se fossi Dio, 1980